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LA PESTE SUINA AFRICANA
La peste suina africana colpisce solo cinghiali e maiali, non è contagiosa per l’uomo ma rappresenta un problema molto serio per gli allevamenti e per tutta la filiera dei salumifici. C’è chi fa un parallelismo con l’influenza aviaria, perché l’unico modo per risolvere il problema (oltre ad adottare molti accorgimenti sul territori) è quello di eliminare cinghiali e maiali che vivono nelle aree a rischio.
Per capire come ha fatto la Peste suina africana ad arrivare a Roma nel 2022 bisogna fare un passo indietro e tornare all’anno 2007, quanto il virus “approda” in Georgia. Da qui si sposta in Asia arrivando sino in Cina e poi in Europa nell’area Balcanica e nei Paesi del nord. Stabilire le cause e individuare i responsabili è quasi impossibile. Perché i fattori sono numerosi e difficili da controllare. Da un punto di vista biologico oltre al rapporto cinghiale – virus, c’è il fattore umano che dà un contributo importante alla diffusione. Tant’è che i veterinari del Triveneto, che avevano preventivato l’arrivo della peste sul loro territorio per vicinanza geografica alle zone già colpite, hanno constatato con perplessità che l’arrivo della peste suina africana all’inizio di gennaio a Ovada in provincia di Alessandria. Dopo avere registrato il primo caso si è dovuto constatare che la peste si era estesa in Liguria e in altre zone del Piemonte. Ma la vera sorpresa è stata l’approdo nel mese di maggio a Roma.
Secondo Andrea Monaco zoologo dell’Ispra “è stato l’uomo che ha trasportato la peste prima in Liguria e poi nel Lazio, non ci sono altre spiegazioni logiche visto che i cinghiali infetti più vicini distano centinaia di chilometri”. Le ipotesi sulla causa sono tante, c’è che focalizza l’attenzione sul movimento di merci e prodotti nel porto di Genova, chi preferisce considerare l’ingestione da parte dei cinghiali selvatici che vivono nei dintorni della città di prodotti a base di carne provenienti da animali infetti (scarti di cucina, broda a base di rifiuti alimentari e carne di cinghiale selvatico infetta comprese le frattaglie). L’altro elemento da considerare in questa storia è la resistenza del virus. Nella carne fresca refrigerata sopravvive alcune settimane, mentre resiste per alcuni mesi in quella congelata. C’è di più, il virus può annidarsi anche negli insaccati freschi o nei salumi poco stagionati. Come pure negli scarti di cucina. In questi casi l’ipotesi assume una certa consistenza quanto i rifiuti urbani finiscono in discariche non controllate frequentate da cinghiali.
FONTE:
https://ilfattoalimentare.it/peste-suina-africana-problema-serio-cinghiali.html